In Valle Pesio il laboratorio in cui le perle di vetro… di Daria Capitani

In Piemonte, Chiusa di Pesio, all’imbocco della Valle Pesio, c’è un laboratorio speciale. È quello di Patricia Lamouroux, la perlera che dietro a un bancone colmo di piccoli tubi costruisce gioielli, o quadri, che raccontano storie in perle di vetro. Ha scelto questa valle venticinque anni fa, quando cercava un nido in cui crescere sua figlia. “Per me è sempre stata la più bella. Mi piace il fatto che non ci puoi capitare, devi venirci di proposito”. A due portoncini di distanza, c’è il Complesso Museale e Centro Studi Cavalier Giuseppe Arena, che tiene memoria della Regia Fabbrica de’ Vetri e Cristalli impiantata dai Savoia nella metà del Settecento

Foto di Miranda Bongiovanni ” il fuoco della passione” vincitrice del concorso  Il fuoco, mistero e passione 2024

Il tè è pronto in un angolo, la stufa è accesa, c’è una luce fioca che entra dalle finestre. Un gatto si affaccia alla porta, c’è una ciotola anche per lui sul retro. Entrare nel laboratorio di Patricia Lamouroux è concedersi tempo, sotto lo sguardo complice del Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie. L’ha fatto lei, come tutto quello che è appeso alle pareti o esposto in vetrina: c’è scritto “Presto che è tardi”. In realtà qui il ritardo sembra non esistere. Quel che si vede è creatività, dietro a un tavolo da lavoro colmo di piccoli tubi che attendono soltanto di essere trasformati. Diventeranno gioielli, o quadri, che raccontano storie. In perle di vetro.

 

Siamo in Piemonte, Chiusa di Pesio, all’imbocco della Valle Pesio. È chiusa, “non è passante”, direbbe Patricia con la sua inflessione francese appena accennata. L’ha scelta venticinque anni fa, quando cercava un nido in cui crescere sua figlia. Lo dice con semplicità e fierezza, poi abbassa lo sguardo e sorride: “Per me è sempre stata la più bella. Mi piace il fatto che non ci puoi capitare, devi venirci di proposito”. Voglia di famiglia, di una comunità stretta, circondata dal verde, in cui un bambino può muoversi a piedi lungo le strade. Ma anche un certo desiderio di sperimentare, con le mani e i materiali.

A due portoncini di distanza, c’è il Complesso Museale e Centro Studi Cavalier Giuseppe Avena, che tiene memoria (accanto ad altre tre sezioni) della Regia Fabbrica de’ Vetri e Cristalli impiantata proprio all’ingresso della Valle Pesio dai Savoia nella metà del Settecento. “È incredibile come la vita mi abbia condotta a questa materia, in un luogo legato a filo doppio a una lavorazione che seppe dare una seconda vita a tutto il territorio”. La vetreria reale è un Palazzo enorme bianco sulla strada che conduce al centro storico dove oggi si trova il laboratorio di Patricia: “Era la casa del fondatore dell’associazione Chiusa Antica, che è stata motore per la nascita del museo”. Una realtà che ha saputo creare una rete di artigiani che, in cambio dell’ospitalità in bottega, proponevano lezioni gratuite nelle scuole: “Io sono partita dal merletto occitano con i fuselli a tombolo, poi ho avuto dei problemi alle mani, ho dovuto rinunciare. Da quella bottega condivisa è andata via la ragazza che lavorava il vetro, un’amica mi ha chiesto di provare ed è stato l’inizio della mia seconda vita”. La storia di quella rinascita è racchiusa in un’opera esposta in una vetrinetta, si chiama “Rivoluzione”. La riproduzione fedele del pugno di Patricia in un chilo di vetro colato: stringe la chiave del suo cuore. “Non conosco altro posto in cui rinascere”.

 

Perché il vetro? “Perché non ha fine e soprattutto ti conduce. Non puoi decidere tu le forme, è sempre lui a indicare la direzione”. A dire il vero, la perlera (“mi piace pronunciarlo come si fa in Veneto, dove la tradizione di questa lavorazione è antichissima”) non modella il vetro ma la perla di vetro: “Uso la tecnica del lume – spiega -. È una fiamma ossidrica: l’ossigeno e il propano mescolati vengono portati a 800/1200 gradi. Sulla fiamma si fanno girare dei tubicini lunghi e sottili di vetro che prendono la forma di una perla avvolta su una bacchetta di acciaio che ne sarà il foro. Decorata con fili di vetro, verrà poi ultimata in un piccolo forno di ricottura”.

 

Tutto accade su un piccolo bancone ben visibile da chiunque si affacci in laboratorio. È qui che nascono gioielli e quadri. Raccontano ognuno una storia. “Unico” è l’essenziale: “Un cuore rosso in una cornice di legno dipinta di bianco. Ci sono i colori associati alla simbologia femminile e c’è tutto ciò che mi rappresenta: se giri il quadro, vedrai un piccolo annaffiatoio da cui scende una goccia. Se vuoi che il tuo cuore appaia ogni giorno in ciò che fai, devi nutrirlo una goccia alla volta”. L’ispirazione giunge da frasi di intellettuali francesi o dalla musica: una parete è colma degli spartiti di frasi musicali riprodotte in vetro, nota su nota. Il più potente è tratto da “Imagine” di John Lennon: è la melodia del verso “It’s easy if you try”. E poi, i palloncini: “Sono l’equilibrio perfetto. Rame e vetro non fondono alla stessa temperatura: nel momento in cui il rame fonde, il vetro comincia ad ammorbidirsi. È una sfida riuscire a creare un’opera in cui inserire entrambe: occorre creare una perfetta armonia di temperatura e di ricottura. Se ognuno di noi, nel quotidiano, cercasse di non prevaricare ma smussare i propri angoli, riuscirebbe a creare un equilibrio perfetto con le persone e l’ambiente che lo circonda”.

 

Il legame con la Valle che l’ha accolta è dentro a ogni dettaglio. “Per me la chiusura è sinonimo di ampia apertura. Quando diventi stanziale e ti fermi in una Valle come questa, decidi di immergerti, di fonderti in una comunità, di dare e ricevere dal contesto. Io qui non sono una macchia sulla tela, aderisco allo sfondo, sento di appartenere e partecipare alla vita di questo luogo”. Una osmosi che ha fatto sì che un piccolo Comune piemontese, che non supera i 3700 abitanti su tutta la Valle, sia inserito nella Route due Verre et du Cristal francese, allargando idealmente i confini della Provenza. “Tutto può succedere lungo le strade del vetro”, scherza Patricia. È lei ad aver contribuito a questo riconoscimento: pur vivendo da venticinque anni a Chiusa di Pesio, è la presidente della Association des Perliers d’art de France che, insieme al Comitato equivalente italiano, ha presentato il dossier grazie al quale l’arte della lavorazione delle perle di vetro è stata riconosciuta nel 2020 Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco.

 

Un piccolo presidio – decentrato rispetto alle grandi aree urbane – di un’attività storica che in Italia è particolarmente legata a Venezia e alle isole di Murano, Burano, Torcello e Pellestrina. Un laboratorio all’imbocco di una Valle suggestiva, dove le idee sono in grado di superare i confini. Da qui ogni mese parte un pacco, destinazione Parigi, ospedale Gustave Roussy. Insieme ai colleghi Perliers d’art de France, Patricia ha aderito al progetto de l’Association Princesse Margot con cui il centro di oncologia infantile si affida alle perle del cuore per indicare ogni tappa del percorso terapeutico dei piccoli pazienti. “Ogni perla di vetro è un simbolo preciso: l’isolamento è un orsetto, una testa calva racconta che il bimbo ha perso i capelli, una luna è l’anestesia, l’ambulanza è un trasferimento. La storia clinica non è più un fascicolo, ma è racchiusa in un filo di perle”.

 

Di Daria Capitani | 09 marzo | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
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