Un’artista artigiana in montagna
di Patricia Lamouroux
“Per diventare artigiani occorre, innanzitutto, sviluppare e coltivare delle valide competenze. E fondamentale scegliere un’attività per cui si è portati e che si ritiene affine al proprio modo di essere, perché la pratica costante e la dedizione sono elementi imprescindibili per acquisire una nuova abilità e svilupparla nel tempo. (…) Acquisendo capacità e competenze si avranno maggiori opportunità, nonché la possibilità di far fronte più efficacemente a imprevisti, mutazioni del quadro socio-economico, avvenimenti esterni e personali cambi di prospettiva. Si diventa più resilienti a livello individuale, capaci di affrontare senza drammi eventuali cambiamenti. Alla luce di ciò, riappropriarsi delle competenze artigiane non rappresenta un ritorno al passato, quanto piuttosto un’evoluzione necessaria per prepararsi a un futuro imminente. Su una cosa infatti concordano gli economisti quella del futuro sarà una società di tecnici creativi, imprenditori e artigiani”.
(D’Errico-Battistoni, 259-261)
Mi vorrei presentare: sono Patricia Lamouroux e sono nata a Bordeaux, in Francia. Ho scelto di vivere in Valle Pesio, a Chiusa, un paese di 3600 abitanti nel cuore del Parco del Marguareis, nelle Alpi Marittime, perché cercavo un posto che avesse la giusta dimensione per farci crescere mia figlia. Com’era bello accompagnarla a scuola a piedi! Certo, diventata grande alle superiori deve andarci con la corriera ma nella vita c’è sempre un dare e un’avere… Artisticamente nasco come merlettaia: producevo merletti a tombolo con una tecnica tradizionale occitana, quella dei fuselli (pouientes o polhentas), diffusi soprattutto nella Val Varaita, insegnando per diversi anni nelle scuole del cuneese. Mi sono poi avvicinata alla lavorazione del vetro¹ e dal 2012 creo perle ed oggetti artistici in vetro con il nome d’arte Clair del Lume (Lume è la fiamma ossigeno/propano che utilizzo per modellare le bacchette di vetro grezzo colorato destinate a trasformarsi in una molteplicità di forme), L’occasione è stata proprio quella di lavorare in collaborazione con il Museo della Regia Fabbrica dei Cristalli e della Ceramica e con l’associazione culturale Chiusa Antica. Il laboratorio-bottega dove lavoro alle mie creazioni, insieme ad altre due donne artigiane, una ceramista e una pittrice, si chiama Chius’Arte e fa parte dell’Ecomuseo dei Certosini nella Valle Pesio; non ci limitiamo a vendere i frutti della nostra attività ma proponiamo laboratori didattici grazie ai quali bambini e adulti possono avvicinarsi piacevolmente all’arte della ceramica, della pittura e, appunto, del vetro. Tengo anche corsi nelle scuole per trasmettere alle nuove generazioni la passione per la lavorazione di questo antico ed affascinante materiale, condividendone la bellezza e le molteplici possibilità creative.
Mi piace pensare che la creatività sia un percorso testa-cuore-mano e che sia fondamentale lavorare con felicità: in questo modo, la felicità diventa parte dell’opera, ne costituisce l’anima e un valore aggiunto..
Penso poi che la montagna sia il luogo ideale per l’artigianato: il mio lavoro ha una relazione continua con il territorio e il territorio, a sua volta, valorizza la mia presenza, ne comprende il significato. La montagna mi costringe ad interrogarmi sul significato del mio lavoro e non è mai indifferente rispetto a quello che faccio. A questo proposito, sento molto mie le parole di Patrizia Palonta: “Per riuscire a vivere in montagna, o ci sei nata, oppure devi avere un sogno, delle idee. Quando arrivi da fuori, in montagna ci resti solo se hai qualcosa da realizzare, perché le sollecitazioni sono infinitamente minori, devi avere una ricchezza tua dentro. Perché una delle cose cui la città assolve è quella di non farti pensare: ti dà un’infinità di stimoli, puoi anche non riflettere troppo su chi sei, dove stai, cosa fai, perché hai tante persone da incontrare”?. In città l’artigianato è spesso troppo legato alle regole del commercio e della moda, non c’è uno scambio positivo tra lavoro e territorio: tu non porti niente al territorio e la città non dà niente a te.
La mia scelta di vivere in montagna, unita al mio lavoro di artigiana, mi hanno permesso e mi permettono anche di fare diversi incontri, tra i quali quello con il Coordinamento Donne di Montagna, creato da Patrizia Palonta, che riunisce decine di vecchie e nuove montanare che vivono e lavorano nelle Valli Occitane.
Il Coordinamento è nato nel 2004 presso il rifugio locanda Lou Lindal, gestito proprio da Patrizia in Val Maira (Cuneo), e nel 2007 si è costituito in associazione. Nel 2009 sono stati poi creati il Centro di Documentazione delle Donne di Montagna, che a Canosio raccoglie 1200 pubblicazioni al femminile, e, grazie al sostegno della Regione Piemonte, una casa-rifugio per le donne vittime di violenza domestica (cui si offre anche supporto legale e psicologico).
L’elemento base del coordinamento è la donna, intesa come figura fondamentale per il mantenimento della vita e della cultura di montagna. Come sostiene la presidente dell’associazione Patrizia Palonta, infatti, “la donna possiede conoscenze riguardanti l’utilizzo delle risorse, i costumi sociali culturali e spirituali della montagna e, per sua natura di madre, è più rispettosa dell’ambiente che la circonda. Infatti, tende a creare le migliori condizioni per la sostenibilità degli equilibri e dei ritmi che caratterizzano i luoghi della montagna”. II CDM, dunque, si propone di essere uno strumento attraverso cui le donne che condividono una stessa idea di montagna possano mettersi in rete e diventare protagoniste del loro cambiamento del miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro, oltre che dello sviluppo e della tutela del territori alpini che loro abitano.
Gli obiettivi dell’associazione, presentati sul sito del Coordinamento, sono essenzialmente quattro:
superare l’ineguaglianza geografica, politica, economica e sociale;
. avvicinarsi sempre più alle tematiche di genere, alle buone prassi, alla buona amministrazione;
organizzare progetti e ricerche che ci vedano coinvolte in prima persona sin dalla progettazione;
creare una rete tra le diverse valli alpine e le montagne d’Europa.
L’attività del Coordinamento assomiglia molto a quella di un ecomuseo, poiché lavora sulle tradizioni, sul recupero e sulla valorizzazione dei saperi. Forse proprio per questa sua natura nel 2011 l’Associazione si è aggiudicata il primo premio di un concorso indetto dalla Convenzione delle Alpi nell’ambito dell’attuazione proprio della “Dichiarazione popolazione e cultura” che abbiamo più volte sentito richiamare questa sera e così abbiamo potuto allargare le nostre attività.
Nel tempo l’attività dell’associazione si è estesa anche in territori montani lontani. Con ACRA (una ong che stava lavorando in partnership con un’organizzazione locale di produttori nel settore tessile, ComArt Tukuypaj), infatti, è partito un progetto per formare e specializzare professionalmente le donne di altre montagne, le Ande. Così dal 2013 il Coordinamento ha iniziato ad operare in Bolivia, con la nascita di Mani per il Futuro e di una serie di laboratori di formazione sulle tecniche naturali di lavorazione della lana, sulla tintura naturale con erbe e cocciniglia, e sul confezionamento di abiti classici e tradizionali.
Sempre in Bolivia, a Carabuco sulle sponde del lago Titicaca, nel 2015 ha preso vita Donne Controcorrente, un progetto di attivazione di vere e proprie micro-imprese femminili nelle aree rurali del Paese per arginare l’emigrazione verso le zone urbane ad alta densità. Questo progetto è iniziato con la fase di produzione fino ad arrivare alla commercializzazione dei prodotti finiti.
Dal 2016 ad oggi, poi, grazie al finanziamento della Tavola Valdese, il Coordinamento si è occupato della creazione di serre per la coltivazione di frutta e verdura in aree marginali, al fine di contribuire ad una nutrizione equilibrata e completa con l’apporto vitaminico, soprattutto per bambini. L’intervento si è inserito in un più vasto e ambizioso progetto “Sistema Titicaca – Donne per una casa comune” che vorrebbe abbracciare le enormi potenzialità di sviluppo della regione del Titicaca occupandosi sia dei profili sociali e di salute delle popolazioni (con un’attenzione particolare alle donne, spesso sole e con figli), sia dei profili economici e produttivi, sia del risanamento ambientale dell’area (fortemente e drammaticamente inquinata) e del riequilibrio sostenibile del rapporto uomo-natura.
Alla luce di quanto detto, quindi, personalmente io non mi sento diversa dalle donne che mi hanno preceduta. Le donne sono sempre riuscite a cavarsela soprattutto grazie alla loro capacità di fare rete, anche quando gli uomini si allontanavano dalle valli e dalle campagne per diversi mesi alla ricerca di fortuna e lavoro, lasciandole a casa a sopravvivere e ad occuparsi della casa e dei figli. Oggi come ieri, quindi, noi donne di montagna siamo in grado di arrangiarci, di garantirci attraverso il lavoro e la collaborazione una sopravvivenza e un futuro. Riprendendo le parole di Patrizia Palonta, “le donne non solo perpetuano la vita e tramandano i saperi, ma riescono a sopravvivere in ambienti limite, utilizzando le risorse della natura, conservando e curando il territorio e restituendolo integro alle generazioni successive. Questo tipo di vita le ha rese estremamente coscienti e conoscenti della realtà naturale e sociale in cui sono immerse”.
lo sono una sognatrice e forse per questo se penso al futuro di Chiusa di Pesio immagino un laboratorio diffuso, capace di attirare le persone da fuori per visitare le botteghe, partecipare ai laboratori, e ridare vita e energia ad un paese che negli ultimi anni si è molto spento.
Certamente oggi un contributo molto importante ci viene dato dalla tecnologia, che ci permette di allontanarci dai grandi centri e valorizzare i piccoli luoghi periferici, che anche per questioni di costi diventano molto più accessibili per il mondo dell’artigianato e per chi ha bisogno di spazi di lavoro ampi. La tecnologia poi ci permette di comunicare, di conoscere ed essere conosciute, di portare le nostre creazioni in luoghi altrimenti difficili da raggiungere e, in ultima analisi, di rimanere a vivere in montagna. Perché è questo che fanno le donne… restano e creano reti.
1) Peraltro, a Chiusa “il vetro è di casa dal 1759, quando Carlo Emanuele ili vi ordinò il trasferimento della Regia Fabbrica di Vetri e Cristalli-un’azienda di Stato sabauda che sfornava stoviglie e vetri di ogni tipo da uno stabilimento di Borgo Po. A chiusa Pesio il vetro non si produce più su grande scala dal 1854, mentre è degli anni ’80 la dismissione. della fabbrica di ceramiche che, per quasi due secoli, ne aveva fatto la capitale di un minuscolo distretto artigianale-industriale (1 BORGNA-G PETTENATI, Montagna Femminile plurale. Storie di donne che sono arrivate in alto, 2015 Zandegù di Marianna Martino, www.zandegu.it, pag. 18).
2) Ibid.. pag 8. 3) Ibid., pag 10